Le caratteristiche del territorio attraversato dal Me-Mo hanno fortemente influenzato lo sviluppo delle attività economiche storiche locali.
Il terreno è argilloso e non ci sono grandi risorse idriche. Per questo non si sono diffuse coltivazioni estensive, come nel basso milanese, bensì attività “alternative”: l’estrazione e la lavorazione dell’argilla, la resinazione, l’artigianato del legno che ha sfruttato l’abbondanza di boschi, e la coltivazione di varietà poco esigenti dal punto di vista nutrizionale, come per esempio il gelso che ben si adattava ai questi terreni e che trovò così grande diffusione nelle campagne brianzole.
I gelsi erano piantati in filari regolari al margine di campi e prati, ben allineati e ben curati.
Subito dopo l’abitato di Olgelasca ne troviamo ancora un filare che fa da schiera al nostro passaggio. Sono come alfieri ordinatamente allineati che si trasformano nelle stagioni: in estate esibiscono il loro vigore con chiome verdi e vaporose, in inverno, invece, di loro rimangono solo gli scheletri, avvolti dalla nebbia bianca, immobili e malinconici.
Dai tronchi massicci e rugosi, che oggi non nascondono la loro età, si slanciano i rami esili e freschi, che venivano sapientemente potati dalle abili mani contadine per avere sempre giovani rami carichi di foglie.
La loro coltivazione era stata introdotta in zona già alla fine del 1400 da Ludovico il Moro per l’allevamento del baco da seta, la larva di una tozza falena tutta bianca, che è ghiotto delle sue tenere foglioline e che tesse il suo bozzolo producendo un lunghissimo filo di seta.
Le donne brianzole erano considerate maestre nell’arte di allevare i filugelli (i bachi da seta). Questa era un’attività importante che permetteva di incrementare i poveri redditi delle famiglie e che veniva svolta prevalentemente all’interno delle cascine: la cucina e i locali attigui si trasformavano, da fine aprile ai primi di giugno, in una sorta di “nursery” per i bachi. Venivano allestiti dei bancali ricoperti di foglie di gelso, il nutrimento dei bachi appunto, che dopo varie fasi di muta iniziavano la formazione del bozzolo.
Era necessario assicurare la giusta temperatura, curare la pulizia, e fare attenzione affinché le farfalle non bucassero i bozzoli, perché dovevano essere poi venduti alle filande della zona per ottenere un’ottima seta da filare.
Una curiosità: proprio dall’attività delle donne esperte nell’artigianato della seta nasce un termine molto diffuso in Brianza: “buna man”, utilizzato dai nostri nonni per indicare la mancia data ai ragazzi. In dialetto brianzolo, letteralmente, significa “buona mano”, riferendosi alla capacità delle donne, incaricate di andare nei mercati per acquistare la seta, di riconoscere con il solo tocco del mano (una “buona mano” appunto) se si trattasse di un prodotto di qualità o di materiale scadente.
Per questa loro capacità venivano giustamente pagate… Da qui il termine buna man per indicare la mancia in denaro!
Dove: Olgelasca, via Sant’Adriano